Sul tavolo del neoministro dell’economia, Giulio Tremonti, lo scottante dossier sanità. Le Regioni non hanno più alibi: in arrivo un menu lacrime e sangue? Spese per il personale e farmaceutica le cause dello sfondamento.
ROMA – Sul tavolo del neo ministro dell’economia, Giulio Tremonti, cominciano ad ammonticchiarsi i primi dossier sull’andamento dei conti pubblici. La data del 30 giugno per la presentazione del Documento di programmazione economica e finanziaria è d’altronde assai ravvicinata, e il governo ha già detto senza mezzi termini che il Dpef costituirà l’intelaiatura della prossima finanziaria. Occorre quindi avere molto chiaro il quadro delle entrate e delle uscite. Così, insieme ai dati sul gettito fiscale, sulla spesa previdenziale, sulle uscite della pubblica amministrazione, sono arrivate – mittente il ministero della sanità – le cifre finali sulla spesa sanitaria.
Cifre che costituiscono il vero nodo della questione conti pubblici, perché è proprio sulla base dello sfondamento fatto registrare da questo capitolo che si capirà se i conti publici sono fuori linea per 10 mila miliardi (come dice il governo uscente), per 14 mila (come lascia intendere lo stesso Tremonti) se non addirittura di 20 mila.
Il dossier elaborato dalla sanità è in qualche modo esplosivo. Le prime stime sul 2001 segnalano che i conti sono in rosso per circa 8 mila miliardi che, sommati al fardello pregresso di 15 mila 700 miliardi rimasto sul groppone delle Regioni, porterà alla fine dell’anno in corso il disavanzo complessivo da fronteggiare a 23 mila 700 miliardi.
Un buco clamoroso, accumulatosi malgrado gli enti locali abbiano incassato nel 2001 il più cospicuo Fondo sanitario nazionale mai visto: 131 mila miliardi di lire (circa 7 mila più del 2000), cui vanno aggiunti altri 4 mila per l’edilizia sanitaria.
Come reagire? Le Regioni sono ormai senza alibi, e con ogni probabilità (al di là delle parentele politiche: basti pensare che la Lombardia è una delle regioni più in rosso) il governo imporrà ai governatori di prendersi le loro responsabilità e mettere finalmente mano a quel menu già indicato dalla riforma De Lorenzo del ’92: aumento dei ticket e dei tributi locali, taglio delle prestazioni.
Ma come si è originato un buco di tali proporzioni? Anche in questo l’analisi dei tecnici della sanità è impietosa. La parte del leone pare debba essere attribuita come sempre alla spesa per il personale. Sotto accusa anche i super incrementi retribuitivi per i medici che hanno optato per l’esclusiva con l’ospedale (si calcola in tutto un aumento medio mensile di un milione e mezzo procapite) dovevano in buona misura essere rifinanziati con i proventi dell’attività “intra-moenia” che, per assenza di spazi, pochi ospedali hanno in realtà avviato.
Altro capitolo scottante quello della farmaceutica. L’abolizione dei ticket ha inciso per circa il 40 per cento. In modo diretto, col mancato introito della compartecipazione a carico dei cittadini, ma anche in modo indiretto visto che buona parte delle prescrizioni sono finite a totale carico del Servizio sanitario nazionale.
Un incremento del 2,9%, secondo i dati della Commissione spesa, è dovuto ai provvedimenti Cipe riguardanti la seconda e terza tranche del Prezzo medio europeo, e alla riduzione dei farmaci off-patent maggiori di 10 mila lire dal 31 gennaio del 2001.
Infine – con un aggravio di spesa di ben il 7,4% – l’aumento del consumo di farmaci, dovuto in buona parte all’abolizione di alcune limitazioni di prescrizione sugli antidepressivi e all’allargamento della prescrivibilità di altre specialità come gli antidepressivi. un ulteriore incremento di spesa (fra il 3 e il 7%) è dovuto anche all’effetto mix: l’acquisto di farmaci più recenti e costosi.