La scomparsa della ginecologa Sara Pedri ha scosso l’opinione pubblica e ha sollevato interrogativi inquietanti sul clima di lavoro all’interno dell’ospedale Santa Chiara di Trento. Il 4 marzo 2021, la giovane professionista di 31 anni, originaria di Forlì, è scomparsa nel nulla, lasciando dietro di sé un mistero che ha afflitto la sua famiglia e l’intera comunità. L’ultima volta che è stata vista, Sara si era allontanata in auto, portando con sé il cellulare, successivamente trovato in un veicolo abbandonato a Mostizzolo, nel Comune di Cis. Le ricerche immediate, avviate dalla famiglia, non hanno portato al ritrovamento del suo corpo, dando inizio a una serie di eventi che avrebbero rivelato un ambiente di lavoro tossico e problematico.
Le indagini inizialmente si sono concentrate sul lago di Santa Giustina, un luogo noto per eventi tragici. I soccorritori hanno mobilitato sommozzatori, droni e unità cinofile, ma il corpo di Sara non è mai stato rinvenuto. Solo nel 2023, dopo un periodo di siccità, sono state trovate alcune tracce riconducibili alla dottoressa nei pressi del lago. A marzo 2024, dopo tre anni di ricerche infruttuose, le operazioni sono state ufficialmente interrotte, lasciando un vuoto incolmabile per i familiari.
Parallelamente, dal 2021 si sono avviate indagini sul presunto clima di mobbing e maltrattamenti all’interno del reparto di ginecologia dell’ospedale. L’ex primario, Saverio Tateo, e la sua vice, Liliana Mereu, sono stati indagati a seguito di circa 110 testimonianze che denunciavano vessazioni e umiliazioni subite da medici e infermieri. Le testimonianze, comprese quelle provenienti dai diari di Sara Pedri, hanno descritto un ambiente di lavoro tossico, caratterizzato da:
Il processo contro Tateo e Mereu, svoltosi con rito abbreviato, si è concluso il 31 gennaio 2024 con un’assoluzione per entrambi, motivata dall’inesistenza del fatto. Il legale di Tateo, Salvatore Scuto, ha sottolineato come l’ex primario fosse stato ingiustamente messo alla gogna da una campagna mediatica.
A seguito della scomparsa di Sara, la sua famiglia, in particolare la sorella Emanuela, ha intrapreso una battaglia per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi del mobbing e della tutela dei lavoratori. Emanuela ha fondato l’associazione NOSTOS, dedicata ad assistere le vittime di abusi sul lavoro, e ha avviato una campagna per l’introduzione di una legge specifica contro il mobbing in Italia. La mancanza di una definizione giuridica chiara per questo reato è stata evidenziata da Emanuela, che ha dichiarato: “Come facciamo a punire un reato che non ha una parola che lo definisca?”.
Il caso di Sara Pedri ha messo in luce la necessità di proteggere i diritti dei lavoratori in ambienti ad alta pressione come gli ospedali. La storia di Sara ha colpito profondamente la comunità locale, ispirando dibattiti e iniziative per migliorare le condizioni di lavoro nel settore sanitario. Mentre le indagini sulla scomparsa di Sara continuano a rimanere senza risposta, la lotta della sua famiglia per giustizia e verità prosegue, chiedendo un’attenzione maggiore sulla salute mentale e sul benessere dei lavoratori, nella speranza di un cambiamento reale nel sistema sanitario italiano.