La Cassazione ha stabilito che i figli laureati e di belle speranze che rifiutino un lavoro non adeguato alle loro capacità, anche se cresciutelli, devono essere mantenuti dai genitori.
CASSAZIONE CONTRO CASSAZIONE
Giovani, viziati e disoccupati (per scelta) non temete: mamma e papà devono continuare a mantenervi. Soprattutto se venite da una famiglia agiata e se il lavoro che vi offrono non è “adeguato alla vostra specifica preparazione, attitudini e effettivi interessi, quanto meno nei limiti temporali in cui dette aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate” potete stare a tranquilli. Dalla parte dei Tanguy nostrani ora c’è addirittura una senteza della Cassazione.
La Suprema Corte (sentenza 4765) ha infatti respinto il ricorso di un padre separato stanco di passare alla ex moglie l’assegno di mantenimento di un milione e mezzo al mese in favore del figlio Marco, ventinovenne, laureato in legge da tempo, che preferiva aspettare il posto di lavoro dei suoi sogni piuttosto che accettare le occasioni che gli si presentavano. Il padre ritenendo ingiusto continuare a mantenere un figlio cresciutello che si permetteva il lusso di fare il difficile si è rivolto al giudice. Ma la Cassazione è stata categorica: ha ragione Marco, non c’è alcuna colpa nella condotta di un figlio – specie se nato da famiglia agiata – che rifiuta un posto non adeguato alle sue aspirazioni.
Così il signor Giuseppe – benestante napoletano e professionista di elevato livello – e la sua ex moglie dovranno continuare a mantenere il rampollo finché lui non riuscirà a trovare un posto che lo soddisfi davvero. Non solo. Il giudice ha anche scagionato Marco da qualsiasi colpa: non accontentarsi di un lavoro qualunque non è un capriccio, ma un diritto e quindi i genitori non sono autorizzati a tagliargli i viveri.
A meno che il ragazzo non trascini i suoi familiari sull’orlo del tracollo economico a furia di master e specializzazioni, i genitori devono assecondarlo e continuare a staccare, per diversi anni, l’assegno per garantirgli il tenore di vita confacente a un trentenne di buona famiglia e grandi speranze.
I giudici precisano che per valutare i comportamenti dei figli un po’ riottosi a diventare adulti, bisogna ”ispirarsi a criteri di relativita”’. In pratica occorre tener presenti le loro ”aspirazioni, capacità, percorso scolastico, universitario e post-universitario”. Senza – peraltro – dimenticarsi della ”situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il figlio abbia indirizzato la propria formazione e specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari”. Dunque ci vuole un po’ di fiducia e molta pazienza.
A nulla è valso a far cambiare opinione alla Cassazione la circostanza che Marco fosse intestatario di un fondo di mezzo miliardo e amministrasse una società. I supremi giudici hanno detto che la società non produceva utili e che la reale titolare del fondo era la madre. Così il ricorso di Giuseppe è stato rigettato, senza possibilità di appello.